Oratorio di Sant’Antonio Abate

L’Oratorio di Sant’Antonio Abate è settecentesco ed è composto da un insieme di edifici aggregatisi nel corso del tempo: la chiesa con la sacrestiale case dell’Oratorio il sacello, dove è custodita la Cassa di Sant’Antonio Abate scolpita in legno da A.M. Maragliano.

L’ingresso della chiesa è sul lato lungo della costruzione e dà accesso diretto alla navata unica che la compone. L’interno rispecchia il tipico arredo di oratori dello stesso periodo: l’aula decorata sui due lati lunghi rinvia ai due estremi, dove trovano posto il coro per i confratelli con la cantoria e l’organo e dall’altro capo l’altare dietro il quale vi è l’ingresso alla sacrestia.

La decorazione interna è espressione del gusto della fine del ‘700, ampie superfici ricoperte di stucchi che inquadrano dipinti, che formano la struttura di sostegno della cantoria e dell’organo, che fanno da fondale prospettico all’altare. L’esecuzione di quest’opera  fu affidata a  Rocco Cantone.

Oratorio Sant'Antonio Abate

Il ciclo pittorico di Carlo Giuseppe Ratti, con storie della vita di Sant’Antonio Abate (1777-1782), è formato da 12 tele dipinte ad olio inserite nelle cornici mistilinee a stucco, realizzate appositamente. Non molti anni fa furono ritrovati nell’Oratorio i bozzetti preparatori.

Oratorio Sant'Antonio Abate

Sul lato destro della navata verso il coro si apre una nicchia dove attualmente è alloggiata una cassa processionale chiamata dai vecchi melesi Sant’Antonio il Vecchio. In effetti dal recente restauro si potuto stabilire che è una delle più antiche della Liguria databile all’ultimo decennio del XVI secolo: già nel 1639 risultano diversi pagamenti per “aggiustature” corrispondenti all’attuale strato pittorico.

Il coro in legno sembra databile alla fine del  XVII – inizi del XVIII secolo. La soprastante cantoria fu realizzata sempre da Rocco Cantone nel 1775 per l’organo Roccatagliata, secondo il Pareto, proveniente dalla chiesa parrocchiale per la quale fu acquistato nel 1729, e sostituito con l’attuale poderoso organo Locatelli Giacomo di Bergamo nel 1893. Al centro del soffitto verso l’altare vi è un affresco rappresentante l’Ascensione, eseguito da Gerolamo Costa nel 1809.

Le croci processionali, che nella pia devozione confraternale vengono chiamati “Cristi”, attualmente custodite nell’Oratorio sono tre. Nel 1787 sono documentati i seguenti pagamenti:  “….spese fatte dal Signor Giacomo Giusti…detti tre canti (d’argento).. Una croce nuova a legno Sebastiano…per rinfrescare il crocifisso…per accomodatura della croce vecchia..“; sembrerebbe perciò che la croce con i tipici ramaggi argentati su tutta la superficie sia la più antica (prima metà del XVIII secolo) e rimessa a nuovo  mentre la più piccola fu  corredata dai “canti” d’argento.

Infine la terza, la più grande, è stata realizzata dalla ditta Moroder di Ortisei nel 1980.  Fanno da corredo ai “Cristi” quattro lanterne astili dette “fanali” e sembrerebbe, dai documenti d’archivio, che fossero già realizzate al 28 maggio 1783, quando si cita “L.16 : valuta de stucci per li fanali“.
Ulteriori testimonianze d’arte sono: “i tabarrini per le cappe di testa e per i priori”, le mazze pastorali con Sant’Antonio Abate in argento datate 1823, il piccolo altare in cartapesta per il Santissimo.

L’autore della pala dell’altare ha finalmente una sua identità: è stata attribuita alla tarda maturità di Andrea Ansaldo (1584-1638) che la eseguì dopo il 1625 in quanto in questa data San Bernardo di Chiaravalle venne proclamato Protettore di Genova e furono prodotti molti dipinti con l’episodio della “lactatio Bernardi“. Nel 1637, però, il dipinto subì una modifica ad opera di Orazio De Ferrari (1606-1657) al fine di aggiornarlo iconograficamente a seguito della proclamazione della Vergine a Regina di Genova e la sua mano è riconoscibile nel Bambino e nella testa di Sant’Antonio Abate.

Risale alla seconda metà del XVIII secolo l’ingrandimento del dipinto in alto con l’aggiunta della SS.Trinità e in basso di una veduta degli edifici da carta de “La Scaglia” che andava a completare così la veduta di Mele già esistente.
E’ interessante ricordare come il dipinto sia emblematico degli interventi effettuati sia in ambito architettonico che di manufatti artistici nel 1634-39 e nel 1757.

In alto il Padre Eterno e lo Spirito Santo e al centro della composizione la Madonna Regina con il Bambino Gesù: in primo piano a sinistra vi è San Bernardo e continuando sono raffigurati San Nicola o Niccolò, Sant’Ambrogio e Sant’Erasmo, a destra in adorazione di Gesù, Sant’Antonio Abate e San Michele Arcangelo; in basso si riconosce il profilo di Mele e della “Scaggia” con gli opifici della carta che farebbero supporre come committente dell’ultimo “aggiustamento” un personaggio eminente nell’economia e società melese del tempo (un “paperaio“?).

La sacrestia è ornata nel soffitto da un affresco raffigurante la Trinità eseguito da Giuseppe Canneva nel 1798.

A lato dell’ingresso della chiesa si vede una porta sormontata da un’architrave tonda in marmo  con la seguente scritta: “HIC DIVI ANTONI SCULPTA REFULGET ICON. 1875” ossia “Qui è l’immagine scolpita del Divino Antonio. 1875“.

In questa frase vi è tutto l’orgoglio dei Melesi per essere riusciti ad acquisire uno dei massimi esempi delle macchine processionali e della scultura genovese del XVIII secolo.
La vicenda dell’acquisto (1874) della “cascia” di Anton Maria Maragliano, databile al 1703, dalla Confraternita di Sant’Antonio Abate e San Paolo Eremita, detta “de’ Birri in strada Giulia“, di Genova è nota; quello non conosciuto è l’affetto dei melesi per il loro “Togno“. Ai bambini viene illustrata la scena con dovizia di particolari: i leoni, il porcellino, il fuoco, gli animali del basamento, San Paolo e gli angeli in modo che durante la processione del 15 agosto siano chiare le parole del Cantico dei pellegrini.

E l’impegno degli adulti nella stessa occasione, sia dai “camalli d’a cascia e portoei de Cristi” che ai semplici partecipanti, è grande perchè…. Sant’Antonio te ne darà merito.

Oratorio di Sant'Antonio Abate

La piccola CASSA di SANT’ANTONIO il VECCHIO

La piccola Cassa processionale è citata in un libro di conti della Confraternita per le aggiustature a cui viene sottoposta nel 1639.

Ciò ha portato la probabile datazione all’ultimo scorcio del XVI secolo.

Datazione confermata dal restauro che ha evidenziato, pur nella semplicità della rappresentazione, l’epoca e l’alta qualità del manufatto. Mentre la struttura fasciata di noce d’india è del 1718 come risulta dall’atto notarile di fabbricazione.

È stato rinvenuto, sotto lo strato delle ridipinture e degli stucchi, parti della doratura originale a racemi di Sant’Antonio e la particolare realizzazione della veste di S.Paolo fatta con canne palustri intrecciate proprio secondo la tradizione iconografica del Santo Anacoreta.

Sant'Antonio il Vecchio

E proprio iconograficamente si rileva l’appartenenza dell’opera al secolo del Concilio di Trento: il Santo, pur nella gloria dell’immagine (particolare la coloritura degli incarnati, le dorature), è ponte e mediatore con la Grazia Divina. A tal proposito si confronti la grande cassa processionale del Maragliano con lo stesso soggetto che manifesta una corporeità da parata tipicamente barocca.

La disposizione delle statue non è l’originale in quanto ha subito molte modifiche nel corso dei secoli ma ne rispecchia molto l’ideale rappresentativo Controriformista.

Infine i due leoni (da notare le code in ferro battuto) in postura quasi araldica danno a tutta l’opera una forte caratterizzazione simbolica.

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